REATO IN GENERE

Atto di appello. Furto. Insussistenza dell’aggravante della destrezza se l’agente approfitta di una situazione di temporanea distrazione della persona offesa

16 Settembre 2019

Traccia

Il senzatetto Tizio, in preda ai morsi della fame, si reca presso il supermercato Alfa al fine di comprare qualcosa da mangiare.

Una volta dentro, preleva dai rispettivi scaffali una confezione di pane e due confezioni di salumi affettati. Peraltro, giunto in prossimità della cassa, si rende conto di avere denaro sufficiente solamente per pagare il pane: decide, quindi, di occultare nella tasca del giubbotto il companatico.

Tutta la scena viene notata dall’addetto alla sicurezza Caio, che aspetta solamente il momento opportuno per intervenire.

Dopo aver pagato la confezione di pane, Tizio si avvia verso l’uscita  ma, non appena messo un piede per strada, viene prontamente fermato da Caio, il quale lo riconduce dentro e attende l’arrivo delle Forze dell’Ordine.

Ad esito di indagini, si accerta che il valore della refurtiva sia pari a 5,00 euro. A seguito di querela presentata da un dipendente del supermercato, a ciò appositamente delegato, viene aperto un procedimento penale a carico di Tizio per il reato di cui agli artt. 624-bis, 625, comma 1, nn. 4 e 7, c.p., che si conclude con la condanna del senzatetto alla pena di anni tre di reclusione e euro 200,00 di multa.

In motivazione, il Giudice sostiene, invero, che Tizio, dopo aver sottratto dallo scaffale del supermercato le due confezioni di salumi ed averle nascoste nella sua giacca, nel momento in cui è uscito dal supermercato abbia integrato il reato in contestazione.

Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga l’atto giudiziario più idoneo alla sua tutela.

Articoli di riferimento, fattispecie, istituti, giurisprudenza

Articoli di riferimento

  • Art. 571 c.p.p.
  • Art. 581 c.p.p.
  • Art. 593 c.p.p.

 

Fattispecie

Ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’Art. 625, comma 1, n. 4, c.p.  è necessario che l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolare abilità, idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza sul bene, non essendo sufficiente il mero approfittamento di una situazione di disattenzione o allontanamento del vigilante.

 

Istituti

  • Art. 624-bis c.p. (Furto in abitazione e furto con strappo);
  • Art. 54 c.p. (Stato di necessità);
  • Art. 56 c.p. (Delitto tentato);
  • Art. 624 c.p. (Furto);
  • Art. 131-bis c.p. (Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto);
  • Art. 133 c.p. (Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena);
  • Art. 625 c.p. (Circostanze aggravanti);
  • Art. 62 c.p. (Circostanze attenuanti comuni);
  • Art. 62-bis c.p. (Circostanze attenuanti generiche).

 

Giurisprudenza

  • Cassazione penale, sez. IV, 26 aprile 2018,  n. 24377. Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all'articolo 624-bis del codice penale esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare. In altri termini, la disciplina dettata dall'articolo 624-bis del codice penale è estensibile ai luoghi di lavoro soltanto ove essi - secondo accertamento riservato al giudice di merito - abbiano le caratteristiche proprie dell'abitazione, in quanto cioè in essi, o in parte di essi, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l'accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati, spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento) (cfr. Sezioni unite, 23 marzo 2017, D'Amico) (nella specie, relativa a furto commesso in una tabaccheria, la Corte ha riqualificato il fatto ex articoli 324, 325, comma 1, numero 2, del codice penale, non risultando dagli atti che la tabaccheria avesse un locale con le caratteristiche sopra indicate, in cui potessero svolgersi atti della vita privata del titolare, in modo riservato e senza possibilità di accesso da parte degli estranei, ed emergendo piuttosto che i pacchetti di sigarette oggetto del furto erano stati prelevati dal bancone di vendita al pubblico, vale a dire in luogo accessibile al pubblico).
  • Cassazione penale, sez. V, 02 marzo 2018,  n. 15715. L'elemento che permette di distinguere tra fattispecie consumata e fattispecie tentata nel reato di furto va individuato nel conseguimento, anche momentaneo, o meno, in capo all'agente, dell'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo (nella specie l'imputato, assieme ai complici, si era allontanato dall'abitazione da cui aveva sottratto la refurtiva garantendosi così la piena ed effettiva disponibilità della stessa fino all'arrivo della pattuglia della polizia).
  • Cassazione penale, sez. IV, 20 marzo 2018,  n. 27390. La circostanza aggravante della destrezza di cui all'articolo 625, comma 1, numero 4, del c.p., richiede un comportamento dell'agente caratterizzato da particolari - ossia speciali, ancorché non straordinarie - abilità, astuzia o avvedutezza, ossia in qualificazioni del suo agire che si aggiungono alla condotta furtiva in sé considerata (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente ravvisata la destrezza nell'impossessamento di un borsello che la persona offesa aveva lasciato incustodito momentaneamente all'interno del carrello della spesa, sul rilievo delle modalità dell'impossessamento, realizzato non su un oggetto posato in bella vista sul carrello, bensì ben inserito all'interno dello stesso, onde l'imputato, per sottrarlo, aveva dovuto agire con particolare sveltezza e repentinità, dimostrando una non comune abilità esecutiva.
  • Cassazione penale, sez. V, 22 gennaio 2018,  n. 10119. La circostanza aggravante della destrezza sussiste qualora l'agente abbia posto in essere, prima o durante l'impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla res, non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo (nella specie, gli imputati si erano limitati ad approfittare del temporaneo allontanamento, anche se per pochi minuti, del proprietario del motociclo dal luogo dove lo aveva parcheggiato).
  • Cassazione penale, sez. un., 23 marzo 2017,  n. 31345.  Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale. (Nella specie la Corte ha escluso l'ipotesi prevista dall'art. 624 bis cod. pen. in relazione ad un furto commesso all'interno di un ristorante in orario di chiusura).
  • Cassazione penale, sez. IV, 29 marzo 2017,  n. 29744. La presenza di un pericolo di danno esiguo, la non abitualità della condotta ed il positivo comportamento post -delictum sono elementi che consentono di ritenere la sussistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto (nella specie, relativa al furto di generi alimentari e saponette per un valore complessivo di 39 Euro, la Corte ha ritenuto sussistente la particolare tenuità del fatto).
  • Cassazione penale, sez. V, 07 gennaio 2016,  n. 18248. Integra l'ipotesi dello stato di necessità la condotta dell'imputato, soggetto privo di dimora e di occupazione, che si era impossessato di due porzioni di formaggio ed una confezione di wurstel del valore complessivo di quattro euro, a fronte del pagamento di una confezione di grissini, atteso che le condizioni del soggetto e le modalità dell'impossessamento dimostrano che l'imputato si impossessò di quel poco cibo per far fronte ad una immediata ed imprescindibile esigenza di alimentarsi.
  • Cassazione penale, sez. V, 07 gennaio 2016,  n. 18248. Deve ritenersi sussistente la scriminante di cui all'art. 54 c.p., in relazione al reato di furto commesso da un soggetto privo di dimora e di occupazione, considerando che le circostanze nelle quali ha avuto luogo l'impossessamento della merce dimostrano che la sottrazione, da parte dell'imputato, di una piccola qualità di cibo (nel caso di specie, due porzioni di formaggio ed una confezione di wurstel) è avvenuta per fare fronte ad una immediata ed imprescindibile esigenza di alimentarsi, rendendo quindi configurabile la scriminante dello stato di necessità. (Essendo stata quindi accertata, pur risultando integrati gli elementi oggettivi del reato contestato, l'esistenza di una causa di giustificazione, la S.C. ha annullato senza rinvio la sentenza di secondo grado perché "il fatto non costituisce reato").
  • Cassazione penale, sez. V, 05 gennaio 2017, n.534. Non sussiste l’aggravante della destrezza nell’ipotesi di furto commesso dall’agente approfittando della situazione di assenza di vigilanza sulla res da parte del possessore. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità dell’aggravante in relazione alla condotta dell’imputato di sottrazione di un telefono cellulare momentaneamente abbandonato dalla vittima).
  • Cassazione penale, sez. V, 28 maggio 2015,  n. 42395. In caso di furto in supermercato, il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica dei movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell'ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo "in continenti", impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l'agente conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo.

Svolgimento

Corte d’Appello di ____

Atto di Appello

Il sottoscritto Avv. ______ del Foro di _______, in qualità di difensore di fiducia, giusta nomina depositata in data _____, di Tizio, nato a_____, il____, residente in ______, nella Via _____, n.__, imputato nel procedimento penale n. ___ R.N.R., per il reato di cui agli artt. 624-bis, 625, comma 1, n. 4 e 7 c.p., dichiara, ai sensi degli artt. 571, comma 3, c.p.p., 581 c.p.p. e 593 c.p.p. di proporre

APPELLO

Avverso tutti i capi e i punti della sentenza n. ___, emanata in data _____, depositata in data ______, dal Tribunale di ______, in composizione monocratica, mediante il quale Tizio, ad esito di dibattimento, è stato condannato alla pena di tre anni di reclusione e 200 euro di multa, per i seguenti

MOTIVI

Erroneità della sentenza perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato.

La sentenza impugnata ha erroneamente affermato la responsabilità dell’odierno appellante in ordine al reato di furto in abitazione, pur in assenza degli elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo, necessari per la sua integrazione.

Infatti, per quanto qui di interesse, l’art. 624-bis c.p. punisce «chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in un altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa».

Pertanto, al fine della configurabilità del delitto contestato, è necessario che la condotta furtiva si realizzi mediante l’introduzione in un luogo destinato, in tutto o in parte, a privata dimora; fatto che, con ogni evidenza, non è accaduto nel caso concreto.

A tal riguardo, invero, la stessa contestazione riguarda il fatto che Tizio  avrebbe sottratto alcuni generi alimentari dal Supermercato Alfa, edificio commerciale aperto al pubblico, che non può essere qualificato come “luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora”, così come richiesto dalla norma incriminatrice.

Ciò è stato, peraltro, recentemente sottolineato dalle Sezioni Unite, secondo le quali «Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624-bis c.p. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare». (Cass. Pen., Sez. Un., 22 giugno 2017, n. 31345).

Da ciò discende che, non essendosi l’attività materiale del prevenuto estrinsecata all’interno di un luogo destinato a privata dimora, così come richiesto per la sussistenza del reato di cui all’art. 624-bis c.p., si impone nei suoi confronti una pronuncia di assoluzione perché il fatto non sussiste.

Inoltre, come detto, nessun rimprovero può essere mosso nei suoi confronti per la mancanza dell’elemento soggettivo del dolo, escluso dalla scriminante dello stato di necessità.

A tal proposito, non pare superfluo sottolineare che tale causa di giustificazione, ai sensi dell’art. 54 c.p., trovi  applicazione ogniqualvolta un soggetto abbia «commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo».

Dalla lettura della norma si evince che, affinché possa dirsi che un soggetto abbia agito in stato di necessità, è necessario che il fatto illecito sia stato posto in essere per scongiurare un grave pericolo all’integrità psicofisica della persona, pericolo caratterizzato da attualità e imminenza.

In più, l’offesa arrecata dall’agente deve essere proporzionata alla situazione di pericolo cui è necessario far fronte, la quale, oltretutto, deve essere indipendente dalla sua volontà e altrimenti non evitabile.

Ebbene, è fuor di dubbio che Tizio, senzatetto e privo di alcun reddito proprio, abbia sottratto il companatico con il solo intento di potersi sfamare e, dunque, per poter sopperire ad un bisogno fondamentale dell’uomo, quale è quello di alimentarsi.

Sul punto, si è espressa anche la Corte di Cassazione, secondo cui «deve ritenersi sussistente la scriminante di cui all’art. 54 c.p., in relazione al reato di furto commesso da un soggetto privo di dimora e di occupazione, considerato che le circostanze nelle quali ha avuto luogo l’impossessamento della merce dimostrano che la sottrazione, da parte dell’imputato, di una piccola quantità di cibo […] è avvenuta per far fronte ad una immediata ed imprescindibile esigenza di alimentarsi, rendendo quindi configurabile la scriminante dello stato di necessità». (Cass. Pen., 7 gennaio 2016, n. 18248).

L’odierno appellante dovrà quindi essere mandato assolto perché il fatto non costituisce reato.

Derubricazione del fatto nel reato di tentato furto semplice.

In via subordinata, qualora la Corte d’Appello adita dovesse ritenere infondati i predetti motivi, si ritiene debba procedersi ad una derubricazione del fatto contestato nel reato di tentato furto ex artt. 56, 624 c.p.

E ciò sia alla luce delle considerazioni poc’anzi svolte in merito alla nozione di privata dimora, sia in ragione del fatto che, con ogni evidenza, la condotta criminosa non è stata portata a compimento, stante l’intervento dell’addetto alla sicurezza Caio, il quale aveva notato fin da subito cosa stesse accadendo.

Il bene sottratto, cioè, non è mai uscito dalla cerchia di vigilanza del suo titolare, di talché la condotta dell’imputato si è pacificamente arrestata allo stadio del tentativo, non avendo egli conseguito neppure per un momento, per motivi indipendenti dalla sua volontà, la effettiva disponibilità della cosa.

Al riguardo, è unanime la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale «in caso di furto in supermercato, il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell'ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo “in continenti”, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l'agente conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo». (Cass. Pen. 21 ottobre 2015, n. 42395).

Non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Nel caso in cui la Corte d’Appello adita dovesse decidere per la sussistenza in capo a Tizio del reato di tentato furto, deve senz’altro ritenersi applicabile al caso de quo l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Invero, dispone l’art. 131-bis c.p. che «nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133 c.p., primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale».

Orbene, tenendo conto delle modalità con cui è stata posta in essere l’azione, del modico valore del bene sottratto (pari a soli cinque euro), nonché dell’incensuratezza del prevenuto, si ritiene che sussistano pienamente i requisiti oggettivi e soggettivi per l’applicazione dell’istituto in questione.

Pertanto, qualora non dovessero trovare accoglimento i precedenti motivi di gravame, in riforma della sentenza appellata, si richiede che codesta Illustrissima Corte dichiari la non punibilità dell’imputato, in ordine al reato di tentato furto, per particolare tenuità del fatto.

Esclusione delle contestate aggravanti.

La sentenza impugnata è altresì palesemente errata nella parte in cui ha ritenuto sussistenti in capo a Tizio le aggravanti previste dall’art. 625, comma 1, n. 4 e 7, c.p.

A tal proposito, giova ricordare che la prima delle suddette circostanze comporta l’aumento della pena nel caso in cui l’agente abbia commesso il fatto con destrezza.

Quest’ultima deve concretizzarsi in un quid pluris rispetto all’ordinaria materialità del fatto illecito, potendo cioè consistere in tutti quegli espedienti o particolari modalità dell’azione con le quali sia sottratto il bene, che consentono di eludere la vigilanza della persona offesa.

Non è sufficiente, al contrario, che l’agente approfitti di una situazione favorevole da lui non determinata, perché sia ravvisabile l’aggravante in questione. (Cfr. Cass. Pen., 5 gennaio 2017, n.534).

Nel procedimento in oggetto, le risultanze dibattimentali hanno dimostrato che Tizio si sia limitato a nascondere il companatico prelevato dallo scaffale e a nasconderlo nella tasca del proprio giubbotto, senza porre in essere alcuna condotta ulteriore, idonea a sviare l’attenzione della persona offesa.

Parimenti insussistente deve ritenersi l’ulteriore aggravante contestata ai sensi dell’art. 625, comma 1, n. 7, c.p., la quale si riferisce a tutte quelle ipotesi in cui il bene sottratto sia esposto per necessità, consuetudine o destinazione alla pubblica fede.

Tale ultima ipotesi si verifica solo laddove la cosa sia lasciata, anche solo temporaneamente, incustodita dal proprietario o dal possessore, di modo che la sua tutela è rimessa al rispetto da parte dei consociati dell’altrui diritto.

Tuttavia, nel caso che ci occupa, la merce del supermercato Alfa non è mai stata lasciata del tutto incustodita, stante la presenza costante degli addetti alla sorveglianza, che hanno consentito al titolare della res di esercitare su di essa una continua vigilanza.

Sulla base di quanto appena esposto, deve escludersi la sussistenza di entrambe le contestate aggravanti.

Rideterminazione della pena inflitta.

Nella denegata ipotesi in cui la Corte d’Appello adita dovesse comunque ritenere la condotta di Tizio penalmente rilevante, è manifesta l’eccessività della pena inflittagli dal primo giudice.

Peraltro, in considerazione della particolare tenuità del danno, dell’incensuratezza e dell’ottimo comportamento processuale tenuto dal prevenuto,  ben dovranno  essergli riconosciute le circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis c.p., oltre all’attenuante comune di cui all’art. 62, comma 1, n. 4 c.p., prevalenti sulle aggravanti contestate, comunque insussistenti, con conseguente contenimento della pena nel minimo edittale e concessione di tutti i benefici di legge.

Alla luce di tutti i motivi esposti, il sottoscritto difensore, chiede che l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, Voglia, in riforma della sentenza impugnata, accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

In via principale, mandare assolto Tizio perché il fatto non sussiste o non costituisce reato;
In via subordinata, previa derubricazione del fatto nel reato di tentato furto, dichiarare la non punibilità di Tizio per la particolare tenuità del fatto;

In via ulteriormente subordinata, esclusa la sussistenza delle contestate aggravanti, concesse le circostanze attenuanti generiche e la circostanza comune ex art. 62, comma 1, n. 4, c.p., comunque prevalenti, contenere la pena nel minimo, con tutti i benefici di Legge.

_____lì______                                                                                        Avv._______________(firma)