REATO IN GENERE

Appello ex art. 310 c.p.p. Concorso di persone nel reato e connivenza non punibile in materia di spaccio di sostanze stupefacenti

15 Dicembre 2007

Traccia

Livio e Cornelio sono due studenti universitari fuori sede, che dividono un modesto appartamento in pieno centro, composto da una cucina, un bagno ed una camera da letto.

Quest’ultima, in particolare, é di dimensioni ridottissime e, per tale motivo, l’arredamento è limitato al minimo indispensabile: oltre al letto a castello, vi è una scrivania, con un solo cassetto, un unico armadio, che i due giovani sono costretti a dividersi e, infine, due comodini, uno per ciascun inquilino.

A seguito di segnalazione inoltrata da parte dei vicini, che lamentano un continuo via vai nell’abitazione dei due ragazzi, irrompono nell’appartamento due Carabinieri, i quali, dopo aver effettuato una perquisizione domiciliare, rinvengono nell’armadio comune ai due ragazzi una bustina nera, adeguatamente sigillata con dello scotch, contenente sette dosi di hashish; gli stessi, trovano altresì nel comodino impiegato dal solo Cornelio 900,00 euro, nonché un’agendina all’interno della quale sono annotati nomi già noti alle forze dell’ordine per vicende legate allo spaccio.

Non viene, invece, rinvenuto alcunché di rilevante nel comodino di Livio ma, a seguito di una perquisizione personale, si accerta che questi custodisse nella taschina dei jeans 300,00 euro.

A nulla valgono le spiegazioni fornite dal giovane, il quale afferma di avere con sé quella cifra dovendo di lì a poco corrispondere il canone di locazione al proprietario dell’immobile; tale circostanza, confermata dal coinquilino, secondo quanto sostenuto da Livio nell’immediatezza, avrebbe potuto essere avvalorata anche dal proprietario dell’immobile, con il quale aveva già preso appuntamento per quello stesso giorno.

I due giovani vengono, invece, tratti in arresto e, ad esito dell’udienza di convalida, viene applicata nei loro confronti la misura cautelare degli arresti domiciliari, per il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.

Il legale di Livio richiede all’Autorità competente la revoca della misura cautelare in atto, o quantomeno la sua modifica con altra meno gravosa, rappresentando altresì la circostanza per cui al ragazzo manchino due soli esami alla laurea ed egli abbia la pressante necessità di concludere il suo percorso di studi nel minore tempo possibile, avendo già ricevuto una vantaggiosissima offerta di lavoro all’interno dell’Università, da intraprendere non appena conseguito il titolo.

La suddetta richiesta di revoca viene rigettata sulla base del fatto che, con motivazione particolarmente sintetica, viene ritenuta immutata la sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza che delle esigenze cautelari.

Livio si rivolge nuovamente al suo avvocato per comprendere se sia possibile impugnare il predetto provvedimento.

Il candidato, assunte le vesti del legale di Livio, rediga l’atto giudiziario più idoneo alla sua tutela.

 

 

 

Giurisprudenza

 

  • Cassazione penale, sez. IV, 07 giugno 2018,  n. 33455. In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo - morale o materiale - alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell'evento illecito (confermati, nella specie, gli arresti domiciliari per il padre, custode della piantagione di canapa del figlio).
  • Cassazione penale, sez. V, 01 giugno 2018,  n. 29220.  In tema di concorso di persone, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, che si realizza anche solo assicurando all'altro concorrente lo stimolo all'azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa (esclusa la responsabilità dell'imputato accusato di concorso in furto di beni da un distributore automatico, atteso che non aveva apportato alcun contributo all'effrazione).
  • Cassazione penale, sez. VI, 07 novembre 2016,  n. 21627. In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inerte e inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato (ancorché se ne conosca la sussistenza), mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, in forme che valgono ad agevolare o rafforzare l'intento criminoso del concorrente (nella specie, quindi, correttamente secondo la Cassazione era stato ravvisato il concorso nei confronti della convivente del detentore che, all'arrivo degli organi di polizia, preavvertita, si era attivata per occultare le sostanze stupefacenti detenute).
  • Cassazione penale, sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 11396. La distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che mentre la prima postula che l'agente mantenga un atteggiamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persone punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo - morale o materiale - nella condotta altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione del reato (esclusa, nella specie, la responsabilità della moglie dell'imputato, accusato della detenzione di droga ai fini di spaccio, atteso che non univocamente significativo di un contributo agevolativo della donna poteva essere ritenuto il fatto che la droga fosse stata ritrovata presso il negozio di ortofrutta e presso l'abitazione, entrambi in uso ai coniugi, potendo da ciò unicamente desumersi la consapevolezza da parte della ricorrente sia della presenza della droga che dell'attività criminosa del marito, il quale si era assunto in via esclusiva la responsabilità dei fatti).
  • Cassazione penale, sez. VI, 25 gennaio 2018,  n. 40343. In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, privo cioè di qualsivoglia efficacia causale, il secondo richiede, invece, un contributo partecipativo positivo - morale o materiale - nell'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino la detenzione, l'occultamento e il controllo della droga, assicurando all'altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare (fattispecie nella quale è stato rigettato il ricorso avverso la condanna motivata evidenziando che l'imputato, nel manifestarsi disponibile a custodire la droga in casa consegnatagli dall'ignoto detentore originario che doveva allontanarsi, con il proprio comportamento aveva assicurato una oggettiva collaborazione, fornito un evidente sostegno psicologico alla protrazione della condotta illecita altrui, e comunque contribuito con la propria condotta positiva alla materiale detenzione della droga, agevolando l'occultamento e il controllo della stessa).

 

Svolgimento

TRIBUNALE ORDINARIO DI ….

APPELLO EX ART. 310 C.P.P.

Il sottoscritto difensore, giusta nomina depositata in data …., di Livio, nato a …., il …., residente in …., Via …., n. …., imputato nel procedimento penale n. …. R.N.R., attualmente sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, ai sensi dell’art. 284 c.p.p., propone, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 310 c.p.p., appello avverso l’ordinanza del giorno …., notificata in data …., con la quale il Tribunale Ordinario di …. ha rigettato l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare, formulata dal prevenuto in data …., per i seguenti

MOTIVI

Erroneità della ordinanza impugnata in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

L’impugnata ordinanza è manifestamente erronea nella parte in cui, senza fornire adeguata motivazione sul punto, ha ritenuto sussistenti, in capo al prevenuto, i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p.

Al riguardo, pare appena il caso di ricordare che, secondo il pacifico insegnamento della giurisprudenza di legittimità, tale previsione normativa imponga una concreta valutazione in ordine al prevedibile esito finale del giudizio, di tal che il quadro probatorio posto a fondamento della decisione in sede di procedimento cautelare, sia pure allo stato degli atti, debba indicare una qualificata e concreta probabilità di condanna del soggetto destinatario della misura.

Ebbene, è del tutto evidente l’insussistenza, in capo all’odierno istante, dei predetti requisiti; l’unico elemento indiziario a suo carico, infatti, sembrerebbe essere il rinvenimento della somma, peraltro irrisoria, pari ad euro 300,00, all’interno dei jeans dal medesimo indossati, in ordine alla quale ha saputo immediatamente fornire specifica e plausibile giustificazione. Quest’ultima, peraltro, oltre ad essere stata immediatamente confermata da Cornelio, ben potrebbe essere avvalorata anche dal proprietario dell’immobile, cui la stessa era destinata a titolo di canone di locazione per la mensilità in corso e la cui consegna era prevista proprio per quella giornata.

La somma, ben più consistente, pari ad euro 900,00 è stata, invero, rinvenuta nel cassetto del comodino utilizzato esclusivamente da Cornelio, così come l’agendina nella quale risultavano annotati i nominativi di soggetti in precedenza coinvolti in vicende attinenti allo spaccio di sostanze stupefacenti, cosicché debba ritenersi pacifica la riconducibilità delle stesse al predetto soggetto, unico proprietario.

Con riferimento alla bustina contenente le sette dosi di hashish, giova sottolineare che, benché la stessa fosse collocata all’interno dell’armadio di norma utilizzato da entrambi i coinquilini, Livio non avesse alcuna consapevolezza circa la sua presenza ed il suo contenuto. La stessa, infatti, di colore nero, risultava altresì precisamente sigillata, di tal che non fosse possibile percepirne la reale consistenza né intuire cosa fosse custodito al suo interno.

In ogni caso, anche laddove dovesse ritenersi che l’odierno istante fosse a conoscenza della attività illecita asseritamente posta in essere da Cornelio – peraltro finora non provata – e della presenza, all’interno dell’abitazione, della sostanza stupefacente, non sussiste in atti alcun elemento di prova tale da far ritenere che egli abbia, mediante la propria condotta, agevolato la commissione del reato, partecipando alla stessa materialmente o anche solo moralmente. Egli, viceversa, potrebbe al più aver passivamente tollerato tale circostanza, limitandosi ad una mera connivenza, non punibile.

La Suprema Corte di Cassazione ha, al riguardo, recentemente precisato che “in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, privo cioè di qualsivoglia efficacia causale, il secondo richiede, invece, un contributo partecipativo positivo - morale o materiale - nell'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino la detenzione, l'occultamento e il controllo della droga, assicurando all'altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare (fattispecie nella quale è stato rigettato il ricorso avverso la condanna motivata evidenziando che l'imputato, nel manifestarsi disponibile a custodire la droga in casa consegnatagli dall'ignoto detentore originario che doveva allontanarsi, con il proprio comportamento aveva assicurato una oggettiva collaborazione, fornito un evidente sostegno psicologico alla protrazione della condotta illecita altrui, e comunque contribuito con la propria condotta positiva alla materiale detenzione della droga, agevolando l'occultamento e il controllo della stessa)” (Cass. pen., sez. VI, 25 gennaio 2018,  n. 40343).

Pertanto, stante l’insussistenza dei requisiti di cui all’art. 273 c.p.p., l’ordinanza impugnata deve senza alcun dubbio essere riformata, con conseguente revoca della disposta misura cautelare.

Erroneità della ordinanza impugnata in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.

La appellata ordinanza è altresì manifestamente inesatta laddove, nel rigettare l’istanza di revoca della misura cautelare, ha erroneamente ritenuto tuttora persistenti, nei confronti di Livio, le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., in forza delle quali, a far data dal …., il predetto è sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari.

Al riguardo, è del tutto evidente l’insussistenza di alcun pericolo di inquinamento probatorio, di fuga o di reiterazione del reato; sul punto, anche il Tribunale si è infatti limitato ad affermare apoditticamente l’esistenza del predetto requisito, senza fornire alcuna specifica motivazione.

In ogni caso, il tempo decorso dalla applicazione della misura cautelare, l’ottimo comportamento tenuto dall’odierno istante e la limitata gravità del fatto contestato – trattandosi pacificamente di un limitatissimo quantitativo di sostanza stupefacente – depongono univocamente in favore del venir meno delle esigenze cautelari che hanno giustificato l’applicazione della misura.

Ben potrà, pertanto, l’Ill.mo Tribunale adito, in riforma dell’appellata ordinanza, revocare la misura cautelare disposta nei confronti del prevenuto.

In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui si valutino tuttora sussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., le stesse ben potrebbero essere garantite mediante l’applicazione di altra misura cautelare meno afflittiva. Invero, il principio di adeguatezza di cui all’art. 275, comma 1, c.p.p. ed il principio di proporzionalità di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p., unitamente all’inevitabile attenuazione delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., conseguente al decorso del tempo, ben dovrebbero indurre l’adito Tribunale a modificare l’appellata ordinanza e a disporre, per l’effetto, la sostituzione della misura cautelare inflitta al prevenuto.

Al riguardo, pare necessario altresì tenere in considerazione la circostanza, già in precedenza portata all’attenzione del Tribunale, in virtù della quale Livio abbia necessità di concludere celermente il proprio percorso di studi, avendo già ricevuto una importante offerta di lavoro da intraprendere ad esito della laurea. Tale circostanza deve, dunque, essere necessariamente tenuta in considerazione in sede di sostituzione della misura cautelare, al fine di determinare la minore limitazione possibile della libertà personale del prevenuto e di consentirgli di recarsi presso la facoltà e di portare a termine la propria carriera universitaria.

*****

Per tutti questi motivi, Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, in riforma dell’impugnata ordinanza, in via principale, revocare la misura cautelare disposta nei confronti di Livio; in via subordinata, disporre la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con altra misura meno afflittiva.

…., lì ….

                                                                                         (Avv. ….)