DIRITTI REALI

Distinzione tra luci e vedute e violazione della privacy

15 Novembre 2019

Traccia

Mevia è proprietaria di un immobile adibito a civile abitazione sito in Delta, circondato su tre lati da un ampio giardino, il cui muro perimetrale confina con l’appartamento di Caio.
 
Quest’ultimo, poiché la scala che conduce al suo appartamento è particolarmente buia, decide, nel rispetto delle distanze legali, di aprire una finestra che si affaccia sulla proprietà di Mevia.
 
In particolare, l’uomo realizza l’opera predetta munendola di infisso in legno con apertura verso l’interno e, inoltre, predisponendo una grata in ferro a protezione.
 
Ciononostante la donna, convinta che quanto realizzato da Caio comporti una grave violazione della sua privacy, considerata la possibilità per l’uomo di osservare, quantomeno frontalmente, ciò che accade nel suo fondo, gli intima di ripristinare immediatamente lo stato dei luoghi.
 
Caio, da parte sua, oppone un netto rifiuto alla richiesta di Mevia.
 
Questa, pertanto, si rivolge al proprio legale di fiducia affinché accerti se quanto realizzato da Caio sia legittimo.
 
Il candidato, assunte le vesti del legale di Mevia, premessi brevi cenni sugli istituti giuridici sottesi, rediga un parere motivato sulla vicenda.

 

Fattispecie

Requisiti necessari per l'esistenza di una veduta sono non soltanto la inspectio ma anche la prospectio, la quale, ai sensi dell'art. 900 c.c., consiste nella possibilità di vedere e guardare non solo di fronte, ma obliquamente e lateralmente sul fondo del vicino, in modo da consentirne una visione mobile e globale.

 

Istituti

Giurisprudenza

  • Cass. civ., sez. II, 4 aprile 2018, n. 8222. Affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio anche quello della prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno a una visione mobile e globale. In altre parole, deve ritenersi che il prospicere in alienum non resti tanto affidato alla distanza intercorrente la inferriata apposta alla soluzione di continuità del muro o apertura di esso, quanto, piuttosto, alla possibilità di esercitare, nonostante il posizionamento di tale schermatura, una visione mobile e globale sul fondo del vicino, attraverso la visione non solo frontale, ma anche laterale e obliqua. Questo criterio per così dire teleologico deve ritenersi prevalente rispetto a quello ontologico che faccia, cioè, leva su semplici rilevazioni metriche dell'opera attraverso la quale venga esercitata o meno la veduta, perché se è vero che una inferriata (dalle maglie che non consentono all'osservatore di protendere il capo oltre di essa apposta a filo della faccia esterna del muro perimetrale) sicuramente non consente la prospectio in alienum (nei sensi intesi dalla norma), ma è anche vero che le cosiddette gelosie - o inferriate sporgenti o a pancia, a voluta, o altra similare tecnica costruttiva - risultano palesemente destinate al prospicere.
  • Cass. civ., sez. II, 20 aprile 2017, n. 9994. Al fine di riconoscere la natura di 'veduta' alle aperture, la possibilità di affacciarsi e guardare sul fondo del vicino in ogni direzione deve essere agevole e non deve obbligare la persona ad assumere posizioni innaturali, scomode o inusuali secondo il parametro di comune esperienza dell'altezza di un uomo medio.
  • Cass. civ.,  sez. VI, 10 gennaio 2017, n. 346. Affinché sussista una veduta ex art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della "inspectio", anche quello della "prospectio" sul fondo del vicino, dovendo detta apertura consentire non solo di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, garantendo una visione frontale, obliqua e laterale, sì da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale, secondo un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto congruamente motivata la sentenza di merito, che aveva escluso la natura di veduta relativamente ad una finestra posta a mt. 1,56 dal piano di calpestio e munita di sbarre orizzontali infisse in un muro alto mt. 1,80 e spesso cm. 30, non potendo la stessa costituire un comodo affaccio).
  • Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 2016, n. 3924. La veduta si distingue dalla luce giacché implica, in aggiunta alla "inspectio", la "prospectio", ossia la possibilità di affacciarsi e guardare frontalmente, obliquamente o lateralmente nel fondo del vicino, sicché un'apertura munita di inferriata (nella specie, realizzata a filo con il muro perimetrale dell'edificio) che impedisca l'esercizio di tale visione mobile e globale sul fondo alieno va qualificata luce.
  • Cass. civ., sez. VI, 13 agosto 2014, n. 17950. La "porta-finestra" che consenta la "inspectio", ma non la "prospectio", ossia lo sguardo frontale sul fondo del vicino, ma non lo sguardo obliquo e laterale, non integra veduta, sebbene permetta occasionalmente e fugacemente, nel momento dell'uscita, la visione globale e mobile del fondo alieno.

 

Svolgimento

Al fine di verificare se il rifiuto opposto da Caio sia o meno legittimo, è opportuno, preliminarmente, richiamare il contenuto del diritto di proprietà, come desumibile dalla disposizione di cui all'art. 832 c.c.

Secondo tale norma, «il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo [...]».

Trattasi, dunque, di un diritto che si caratterizza per la sua pienezza, in quanto il proprietario può trarre dalla cosa ogni utilità nonché disporre liberamente del proprio diritto, e per la sua esclusività, in quanto ha il diritto di escludere gli altri consociati e può pretendere che questi non ostacolino il libero e pieno godimento del bene.

Tali prerogative spettano al proprietario in modo pieno, sebbene l'art. 832 c.c. si concluda con l'inciso «entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico».

Ciò significa, però, che se la legge non stabilisce limiti particolari per la tutela di interessi pubblici o privati, il proprietario può fare della cosa ciò che ritiene.

Tra i limiti di natura privatistica l'art. 833 c.c. pone il divieto degli atti di emulazione: «il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri». Perché un atto possa dirsi emulativo, dunque, è necessario, sotto il profilo oggettivo, che lo stesso sia privo di qualsivoglia utilità, economica o morale, per chi lo compie; sotto il profilo soggettivo, invece, è richiesto il dolo specifico di nuocere o di recare molestia ad altri senza un proprio reale vantaggio.

Nel caso di specie può escludersi la ricorrenza dell'ipotesi di cui all'art. 833 c.c., risultando con evidenza che Caio, con la sua condotta, intendesse unicamente rendere più luminosa la scala che conduce al suo appartamento; difettano, dunque, entrambi i presupposti, oggettivo e soggettivo, sopra richiamati.

Per valutare se la condotta di Caio sia o meno legittima, occorre fare riferimento ad un altro limite generale alla proprietà fondiaria, dettato in tema di rapporti di vicinato dalla disciplina in tema di luci e di vedute.

Le norme contenute negli articoli da 900 a 907 del Codice Civile sono finalizzate a contemperare l'esigenza del proprietario della costruzione di ricevere luce e aria con l'esigenza del confinante a non essere esposto alla vista altrui.

La disposizione di cui all'art. 900 c.c., in particolare, distingue due specie di aperture: «Le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie: luci, quando danno passaggio alla luce e all'aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino; vedute o prospetti, quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente».

L'art. 901 c.c. stabilisce le dimensioni e le caratteristiche che un'apertura deve avere per essere qualificata come luce, mentre l'art. 903 c.c. pone il principio in forza del quale «le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui».

L'art. 905, comma 1, c.c., poi, stabilisce la distanza minima per l'apertura di vedute dirette: «Non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo».

Ciò premesso in termini generali, si può ora procedere alla qualificazione dell'apertura realizzata sul muro perimetrale da Caio.

Emerge, in primo luogo, come quest'ultimo avesse rispettato le distanze legali e che la finestra fosse munita di infisso in legno con apertura verso l’interno e protetta da una grata in ferro.

Mevia, tuttavia, lamenta una grave violazione della sua privacy, considerata la possibilità per Caio di osservare, quantomeno frontalmente, ciò che accade nel suo fondo.

Dalla ricostruzione dei fatti è possibile qualificare l'apertura de qua non come veduta o prospetto, contrariamente a quanto asserito da Mevia, bensì come luce, e ciò per le ragioni che seguono.

Si è detto che l'art. 900 c.c., nel distinguere le vedute dalle luci, presuppone che le prime consentano di affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente e lateralmente, mentre le seconde non consentano l'affaccio sul fondo, ma solo il passaggio della luce e dell'aria.

Orbene, proprio con riferimento a tale definizione normativa, ed alla luce dello stato dei luoghi, non pare potersi ritenere che l'apertura eseguita da Caio sia qualificabile come veduta, e ciò in quanto la condotta di sporgere e protendere il capo verso il fondo della vicina è impedita dalla presenza della grata; la stessa Mevia, d'altra parte, lamenta che Caio possa guardare solo frontalmente il suo fondo.

Può dunque ritenersi per Caio quantomeno scomoda e poco agevole, se non addirittura pericolosa, l'eventuale manovra di affacciarsi e di guardare obliquamente o lateralmente sul fondo della vicina.

In altri termini, la conformazione della finestra, unitamente alla presenza della grata, non consente di ritenere che la stessa sia destinata alla normale, naturale, comoda e permanente destinazione alla vista e all'affaccio sul fondo di Mevia. Può dunque escludersi la natura di veduta dell'apertura de qua, che invece può essere inquadrata e qualificata come luce, difettando i presupposti della veduta così come disciplinata dall’art. 900 c.c.

Relativamente alla questione in esame la giurisprudenza della Suprema Corte è costante nell'affermare che, « Affinché sussista una veduta ex art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della "inspectio", anche quello della "prospectio" sul fondo del vicino, dovendo detta apertura consentire non solo di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, garantendo una visione frontale, obliqua e laterale, sì da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale, secondo un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto congruamente motivata la sentenza di merito, che aveva escluso la natura di veduta relativamente ad una finestra posta a mt. 1,56 dal piano di calpestio e munita di sbarre orizzontali infisse in un muro alto mt. 1,80 e spesso cm. 30, non potendo la stessa costituire un comodo affaccio), (Cass.civ., sez. VI, 10 gennaio 2017, n. 346).

Affinché sussista la veduta, dunque, è necessario che la stessa non solo consenta di vedere frontalmente il fondo del vicino ma anche obliquamente e lateralmente, circostanza impossibile nella fattispecie concreta, considerato che la finestra realizzata da Caio è dotata di grata.

Conclusioni

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, dunque, può ritenersi che la pretesa di Mevia, la quale vorrebbe che Caio provveda al ripristino lo stato dei luoghi, sia infondata; avuto riguardo alle caratteristiche dell'apertura della finestra, che non consente una comoda prospectio nel fondo confinante, può affermarsi la legittimità della condotta del vicino.