PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (P.A.)

L’abitualità nel reato di maltrattamenti in famiglia

06 Ottobre 2021

Cassazione civile

«Il delitto di maltrattamenti in famiglia postula il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali per quest’ultima, nei cui confronti viene così posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica tale da rendere particolarmente dolorosa ed umiliante la stessa convivenza familiare».

 

Con la sentenza in esame, la Suprema Corte è stata chiamata ad intervenire in un giudizio per maltrattamenti in famiglia ai sensi dell'art. 572 c.p. In particolare, ai fini della configurabilità del reato abituale di maltrattamenti in famiglia, è richiesto il compimento di atti che non siano sporadici e la manifestazione di un atteggiamento di aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima: deve escludersi, pertanto, che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile (Cass. pen., n. 37019/2003).

Ciò premesso, la Corte di Cassazione afferma che «il delitto de quo, in altri termini, postula il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali per quest'ultima, nei cui confronti viene così posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica tale da rendere particolarmente dolorosa ed umiliante la stessa convivenza familiare».

 

Fonte: Diritto e Giustizia