PROCEDIMENTO PENALE

Pena illegale inflitta in primo grado: alle Sezioni Unite la questione sull’applicazione della diminuente in appello

02 Novembre 2020

La Cassazione rimette alle Sezioni Unite la questione «se il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per un reato contravvenzionale, lamenti l’illegittimità della riduzione operata ai sensi dell’art. 442 c.p.p. nella misura di un terzo invece che della metà, debba applicare la diminuente nella misura di legge pur quando la pena inflitta dal giudice di primo grado sia illegale, perché in violazione delle previsioni edittali, e di favore per l’imputato».

In parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale in esito al giudizio abbreviato nei confronti dell’imputato, condannato a due anni di arresto per il reato di porto abusivo di armi, la Corte d’Appello di Milano riqualificava il fatto nella contravvenzione di cui all’art. 4 l. n. 110/1975 recante «porto di armi od oggetti atti ad offendere» e confermava la pena irrogata. In particolare, la Corte territoriale osservava che la pena irrogata in primo grado, nonostante la mancata applicazione della riduzione per il giudizio abbreviato nella misura della metà, risultava comunque più favorevole di quella prevista dall’art. 4 l. n. 110/1975, che prevede un minimo edittale di 6 mesi di arresto.
Avverso tale decisione il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, denunciando la mancata diminuzione, dopo la riqualificazione, per il giudizio abbreviato che per il reato contravvenzionale è pari alla metà della pena irrogata.

Il ricorso in esame pone il problema di definire alcune questioni giuridiche, motivo per il quale la Corte rileva un contrasto giurisprudenziale e conclude con la rimessione della questione alle Sezioni Unite.
In particolare, analizzate le argomentazioni utilizzate dalla Corte territoriale, secondo la Cassazione, la decisione resa si uniforma all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il giudice dell’impugnazione, a fronte di una pena illegalmente determinata a vantaggio dell’imputato, ben può negare gli effetti di ulteriore favore sulla pena conseguenti all’accoglimento dell’appello ora su un reato concorrente, ora sul riconoscimento di una circostanza attenuante o l’esclusione di una circostanza aggravante.
Ne deriva che «il meccanismo di riduzione della pena, che opera in caso di accoglimento dell’appello dell’imputato in punto di reato concorrente o circostanze esplica gli effetti tipici a condizione che la pena complessiva irrogata in primo grado sia stata determinata in modo legale. La mancata impugnazione del pubblico ministero per ricondurre la pena alla misura legale, se impedisce, in ragione del divieto della reformatio in peius, che sia oggetto di correzioni officiose, non giustifica la perpetuazione di un errore».

Tale soluzione si pone tuttavia in contrasto con il consolidato orientamento secondo cui «il giudice, in mancanza di impugnazione del pubblico ministero, non può modificare la sentenza che abbia irrogato la pena illegale di favore».
Posti i principi ormai ben consolidati in tema di pena illegale, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che, ove l’illegalità della pena ridondi a vantaggio del condannato, essa non possa essere corretta. Tuttavia, l’immutabilità in senso deteriore della pena illegale di favore, in forza del divieto della reformatio in peius, trova «un elemento di compensazione nell’impedimento al pieno esplicarsi del meccanismo di riduzione della pena, di cui all’art. 597, comma 4, c.p.p., che di quel divieto è completamento e rafforzamento».

La questione che si pone, dunque, è quella di capire quali siano i rapporti tra divieto della reformatio in peius e obbligo, in caso di accoglimento dell’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, di diminuire corrispondentemente la pena complessiva.
Il primo, ricorda la Corte, ha portata generale e pone un limite ai poteri decisori del giudice di appello, a cui si aggiunge, nei casi di cui all’art. 597, comma 4, il dovere di diminuire "la pena complessiva irrogata" in misura corrispondente all’accoglimento dell’impugnazione.

Ciò detto, la Cassazione rileva come la diminuente per il rito abbreviato sia una circostanza che si ripercuote indubbiamente sulla pena ed ha la sua incidenza sostanziale, conservando tuttavia una natura processuale con caratteristiche che la differenziano nettamente dalle circostanze in senso proprio.
Proprio in ragione di tali peculiarità l’applicazione della diminuente costituisce un posterius rispetto alle altre operazioni che concorrono alla definizione del trattamento sanzionatorio.
Pertanto, la Corte rimette alle Sezioni Unite perché risolvano la questione «se il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per un reato contravvenzionale, lamenti l’illegittimità della riduzione operata ai sensi dell’art. 442 c.p.p. nella misura di un terzo invece che della metà, debba applicare la diminuente nella misura di legge pur quando la pena inflitta dal giudice di primo grado sia illegale, perché in violazione delle previsioni edittali, e di favore per l’imputato».

 

Fonte: Diritto e Giustizia