DIRITTO PENALE

La Suprema Corte chiarisce, in punto di pena, il rapporto tra le diverse circostanze aggravanti del reato di rapina

12 Novembre 2020

Cassazione penale

Il caso. Il giudizio a quo riguarda crimini verificatisi in Campania, ad opera di due ragazzi (uno dei quali, all’epoca, neppure ventenne), i quali avevano consumato, tra gli altri, una rapina pluriaggravata, anche poiché compiuta da più persone riunite, una delle quali minorenne.

Il Giudice dell’Udienza Preliminare, ad esito del giudizio abbreviato, ritenute alcune condotte avvinte dal vincolo della continuazione, aveva condannato il più giovane alla pena di anni cinque, mesi uno e giorni dieci di reclusione ed euro 2.800 di multa e l’altro a scontare anni sette e mesi quattro di reclusione, versando euro 7.000 di multa.

La Corte territoriale, previa rinuncia ai motivi dedotti in punto di responsabilità, aveva ridotto le pene: per il primo, limitando gli aumenti disposti per la continuazione, ad anni cinque di reclusione ed euro 266 di multa; per il secondo, diminuendo la pena base e contenendo gli aumenti inflitti per i reati satellite, ad anni sei e mesi sei di reclusione ed euro 3.666 di multa, con connessa rimodulazione delle sanzioni accessorie.

Ricorrono per Cassazione entrambi gli imputati, denunciando, negli atti dimessi dai rispettivi difensori di fiducia: error in iudicando e carenze della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, per le quali, con riguardo al primo imputato, militavano la giovane età, l’incensuratezza, l’ammissione degli addebiti ed il contesto familiare di provenienza, capace di inquadrare in un’ottica differente l’imputazione e, per il secondo, la confessione immediata ed il risarcimento offerto alla persona offesa; violazione di legge ed illogicità della motivazione, circa, in primis, l’avvio del computo della pena dal più severo minimo edittale dell’art. 628, comma 4, c.p., che non poteva essere integrato, essendo inserite le aggravanti compresenti nella terna del comma 3, n. 1), che già autonomamente comporta un compasso edittale meno favorevole e, per di più, incompatibili tra loro; secondariamente, per non aver giudicato parte del medesimo disegno criminoso tutte le azioni ascritte agli imputati.

La sentenza. Il Collegio – su parere difforme del Procuratore generale, che aveva chiesto che le impugnazioni fossero dichiarate inammissibili – rigetta il ricorso, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

La Sezione II impiega alcune righe nel ricostruire il pregresso contrasto tra due diversi indirizzi giurisprudenziali, che si sono scontrati per stabilire il concreto effetto aggravante del simultaneo concorso tra fattispecie specializzanti enucleate dalla stessa disposizione.

A margine della riflessione che produce il principio di diritto della pronuncia, poi, l’Estensore risolve più rapidamente le altre censure, concentrandosi su quella che non reitera critiche già formulate in appello, senza argomentarle logicamente per attaccare l’iter motivo esposto dai giudici di gravame (impostazione inammissibile, per granitico orientamento di legittimità; in proposito, si cita Cass., Sez. VI Pen., 11/3/2009, n. 20377, RV. 243838).

La (mancata) valorizzazione della confessione giudiziale e del (tentativo) di condotta riparatoria. Ed invero, ribadita la libertà del Giudice di attribuire valore preponderante a solo alcune delle condizioni materialmente sussistenti, gli Ermellini sottolineano come la confessione e l’offerta risarcitoria possano legittimamente fondare la concessione della diminuzione ex art. 62-bis c.p., allorquando costituiscano «precise indicazioni di riconsiderazione critica del proprio operato e contrita discontinuità con il precedente modus agendi» (si rinvia sul punto, ex multis, a Cass., Sez. VI Pen., 27/1/2012, n. 11732, RV. 252229).

Qui, al contrario, con giustificazione immune da vizi logici si era spiegato il motivo per cui la confessione, di nullo apporto probatorio ad un quadro a carico già chiaro, nonché la modesta somma proposta, erano state reputate “espedienti strategici”, anziché sintomo di una revisione del proprio comportamento da parte degli agenti.

L’effetto sulla sanzione delle aggravanti concorrenti. Il centro della motivazione, però, è costituito dalla disamina del trattamento sanzionatorio imposto per le ipotesi pluriaggravate di rapina.

A tal riguardo, il Collegio afferma che la novella del 2017 «ha dato al quarto comma dell’art. 628 c.p. un contenuto nuovo, affermando che “Se concorrono due o più delle circostanze di cui al terzo comma del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’art. 61, la pena è della reclusione da sette a venti anni…” indica un più elevato minimo edittale anche nel caso in cui concorrano più circostanze aggravanti interne al medesimo numero (1) del terzo comma dell’art. 628 c.p.».

La ratio che supporta una simile esegesi è duplice: da un lato, sul piano tecnico, le caratteristiche del delitto qui concorrenti non devono porsi in rapporto di continenza o specialità, rappresentando altrettante ipotesi diverse che il legislatore ha inteso punire più severamente; dall’altro, in termini di gravità del reato e capacità a delinquere, non può negarsi che la loro contestuale presenza indichi, per ciascuna singolarmente, una più pericolosa carica criminale, finalizzata ad evitare (o superare) l’eventuale resistenza della vittima.

La lettura promossa in sede di gravame è dunque corretta, posto che la parte motiva della decisione impugnata chiarisce perché la presenza di ciascuna circostanza renda più pericolosa l’azione e, dunque, richieda una superiore risposta retributiva.

Conclusioni. La decisione in commento, benché risenta di un’esposizione non sempre perfettamente organica, è lineare nel sillogismo e condivisibile nell’esito.

Potrà essere, quindi, un utile riferimento per il giurista pratico, che debba pronosticare il rischio di pena per un assistito cui si contestino analoghe ipotesi delittuose.

 

Fonte: Diritto e Giustizia