DIRITTO PENALE

La convivenza instabile e di breve durata non esclude il reato di maltrattamenti in famiglia

14 Maggio 2021

Il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purchè sia sorta una prospettiva di stabilità e un’attesa di reciproca solidarietà.  

 

La Corte d’Appello di Milano confermava, concedendo le attenuanti generiche e rideterminando la pena, la condanna inflitta dal Tribunale del capoluogo lombardo ad un imputato per maltrattamenti nei confronti della propria convivente.

L’accusato ricorre in Cassazione deducendo la violazione dell’art. 572 c.p. in quanto la Corte avrebbe erroneamente qualificato le condotte come maltrattamenti, in assenza di una stabile convivenza o di un rapporto para-familiare e nonostante la breve durata del rapporto “sentimentale” (basato più che altro su rapporti sessuali occasionali). Egli sottolinea anche la mancanza dell’abitualità dei comportamenti vessatori e dello stato di prostrazione fisica e morale della persona offesa.

La Corte d’Appello, quanto alla durata, stabilità e natura della convivenza così come quanto alla mancanza dell’abitualità dei comportamenti incriminati, descrive benissimo la situazione: la donna era succube del fascino e dell’attrazione sessuale esercitata su di lei da parte dell’uomo, ma ciò non elimina le ingiurie, minacce e violenze fisiche attuate per oltre un anno tanto da condurre la vittima a intraprendere un percorso di affrancamento psicologico da lui. Inoltre, nell’atto di Appello, si registrano sette mesi di coabitazione con varie interruzioni.

E la Corte d’Appello ha sottolineato come la stabilità della convivenza non sia un requisito richiesto per la sussistenza del reato di maltrattamenti. Ed inoltre, evidenziando i contenuti del colloquio tra imputato e vittima, ha colto la sussistenza di un rapporto non esclusivamente legato alle intense pratiche sessuali.

Infatti, l’art. 572 c.p. è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (Cass. n. 31121/2014). Secondo lo stesso articolo non solo non occorre che la convivenza sia ancora in corso, ma non è neanche necessario che tale convivenza abbia una certa durata, quanto piuttosto che sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l’esito di tale comune decisione (Cass. n. 5457/2019).

E la Cassazione ha già avuto modo di sottolineare che , pur mancando vincoli nascenti dal coniugio, il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile nei confronti di persona non più convivente more uxorio con l’agente quanto questi conserva con la vittima una stabilità di rapporti dipendente dai doveri connessi alla filiazione per la perdurante necessità di adempiere gli obblighi di cooperazione nel mantenimento, nell’educazione, nell’istruzione e nell’assistenza morale del figlio minore naturale derivanti dall’esercizio congiunto della potestà genitoriale (Cass. n. 25498/2017 e n. 33882/2014).

Nel caso di specie, il reato di maltrattamenti assorbe quello di atti persecutori anche in caso di avvenuta cessazione della convivenza se la tipologia della relazione fra l’agente e la persona indica il permanere di condizioni che richiedono solidarietà tra i due (Cass. 8145/2020).

La Legge n. 172/2012 ha introdotto delle modifiche all’art. 572 c.p., aggiungendo i conviventi tra i soggetti passivi del reato e ha inasprito le pene, estendendo così l’ambito di applicazione del dato normativo ai rapporti caratterizzati da relazioni intense e abituali o anche di soggezione di una parte nei confronti dell’altra.

Su queste basi, la Corte di Cassazione enuncia quindi il seguente principio di diritto: «il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purchè sia sorta una prospettiva di stabilità e un’attesa di reciproca solidarietà».

Ne consegue che dichiara inammissibile il ricorso e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Fonte: Diritto e Giustizia