DIRITTO PENALE

Corteggiamento ossessivo e sgradito alla donna: condannato

05 Marzo 2021

Cassazione civile

Nessuna giustificazione per l’uomo, finito sotto processo per avere ossessionato per un anno e mezzo una donna, cercando costantemente occasioni di incontro e di saluto. Evidente, secondo i Giudici, la gravità della condotta tenuta dall’uomo, anche perché la vittima aveva detto chiaramente di non gradire il corteggiamento.  

 

Corteggiare con insistenza una donna, ignorando il chiaro disinteresse da lei manifestato, vale una condanna penale per il reato di molestie (Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 7993/21; depositata il 1° marzo 2021).

 

A finire sotto processo è un uomo. A porlo sotto accusa sono le dichiarazioni della donna da lui corteggiata con eccessiva insistenza.

Fondamentale per i Giudici di merito è ricostruire la strana vicenda. Ebbene, tra primo e secondo grado emerge che l’uomo – Carlo, nome di fantasia – ha messo in atto per un anno e mezzo «un corteggiamento petulante, sgradito e molesto» nei confronti di una donna – Tiziana, nome di fantasia –, dipendente di un bar e avvicinata spesso anche sul luogo di lavoro.

Consequenziale la condanna. Per i Giudici di merito, difatti, Carlo si è reso colpevole del «reato di molestie». In primo grado la pena viene fissata in «tre mesi di arresto», mentre in secondo grado la condanna viene sospesa, condizionando però tale beneficio al «pagamento, entro sei mesi dal passaggio in giudicato, della somma di 4mila euro a titolo di risarcimento del danno» in favore di Tiziana, costituitasi parte civile.

Secondo il ricorrente la valutazione compiuta in Appello è eccessivamente severa. Così, col ricorso in Cassazione contesta, tramite il proprio legale, la sussistenza del reato di molestie, mancando «il dolo destinato ad abbracciare il fine specifico di disturbo dell’altrui tranquillità», e sostiene la tesi della «non particolare gravità della condotta, poco invadente e pericolosa», anche tenendo presente «l’assenza di pedinamentimolestie telefoniche e appostamenti molesti».

Ovviamente l’uomo ritiene anche «eccessiva la sanzione», sostenendo sia possibile applicare «la sola pena pecuniaria dell’ammenda in luogo di quella detentiva». E in questa ottica il ricorrente lamenta pure «la mancata prova del danno al cui risarcimento è condannato» e «l’eccessiva determinazione» della somma riconosciuta in favore di Tiziana.

In ultima battuta, infine, l’uomo contesta anche «l’ingiustificata subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno». A questo proposito, egli spiega di avere «dimostrato in giudizio il proprio stato di disoccupazione, che oramai dura da otto anni», ma, aggiunge, «di tale condizione economica che rende impossibile l’adempimento della condizione apposta al beneficio non si è tenuto conto», anzi i Giudici d’Appello hanno affermato che «la disoccupazione è uno stato temporaneo che affligge l’uomo» ma non hanno considerato «il contesto sociale e la sua non giovane età», osserva Carlo.

 

Inutili però si rivelano le obiezioni difensive, poiché, ribattono i Giudici della Cassazione, le accertate condotte tenute dall’uomo «si inscrivono senza dubbio nel paradigma del reato di molestie». Ciò perché «i saluti insistenti e confidenziali, con modalità invasive della sfera di riservatezza altrui (abbracciando in un’occasione la donna); gli incontri non casuali e cercati nel bar – dove lavorava la donna – in cui l’uomo entrava ripetutamente con pretesti, senza consumare nulla, ma con il solo scopo di incontrarla e tentare approcci con lei, come anche per strada, in un’occasione inseguendola e salendo sul suo stesso autobus; la sosta sotto la casa della donna; la manifesta rappresentazione da parte della donna di non gradire tali atteggiamenti di corteggiamento petulante ed ossessivo» e «la perseveranza dell’uomo nel reiterare» il corteggiamento sgradito alla donna sono elementi sufficienti per catalogare i comportamenti dell’uomo come vere e proprie «molestie, pur in assenza di atteggiamenti aggressivi o in qualsiasi modo violenti».

Per fare chiarezza i magistrati fissano anche un principio: «configura il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, manifestamente a ciò contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà».

Rilevante anche la consapevolezza di Carlo in merito al forte fastidio arrecato a Tiziana, poiché quest’ultima «ha dichiarato di aver espresso più volte all’uomo il proprio disappunto per un corteggiamento tanto ostinato quanto sgradito e ritenuto esplicitamente molesto, pressante e intollerabilmente indiscreto».

Evidente, poi, la gravità del comportamento dell’uomo, soprattutto se si tiene conto che esso si è protratto per un anno e mezzo, costringendo la donna a chiedere, ad un certo punto, l’intervento dei carabinieri, e ignorando consapevolmente «il fastidio ed il malessere» manifestati dalla destinataria dell’ossessivo corteggiamento. Logico, di conseguenza, riconoscere anche «il danno provocato dal reato» alla donna, «caduta in uno stato di ansia» proprio a causa della asfissiante presenza dell’uomo.

Confermata, infine, anche la subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno.

Su questo fronte dalla Cassazione riconoscono che «il giudice, che intenda subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, ha l’obbligo di valutare le reali condizioni economiche del condannato in ogni caso e, ancor di più, quando vi sia un accenno di prova dell’incapacità di questo di sopportare l’onere del pagamento risarcitorio», ma in questo caso, osservano, «l’uomo ha riferito in dibattimento di aver lavorato in un periodo degli ultimi anni, avvalorando la conclusione circa la non stabilità della dedotta condizione di disoccupazione», senza dimenticare che egli «non ha neppure richiesto di essere ammesso al gratuito patrocinio».

 

Fonte: Diritto e Giustizia