FAMIGLIA

Niente risarcimento per il marito depresso dopo il tradimento della moglie

24 Novembre 2020

Cassazione civile

Accertato il comportamento della donna, che ha violato i doveri coniugali. Questo dato è sufficiente per addebitare a lei la separazione della coppia, ma non per il risarcimento. Manca infatti la prova del nesso tra il tradimento subito e lo stato depressivo in cui l’uomo è caduto.

 

Niente risarcimento per il marito tradito e depresso. Irrilevante il fatto che l’infedeltà coniugale abbia comportato a carico della donna l’addebito della separazione (Cassazione, ordinanza n. 26383/20, sez. VI Civile, depositata oggi).

Irrecuperabile la crisi di coppia, crisi originata dal tradimento perpetrato dalla moglie. Inevitabile la rottura del matrimonio, con conseguente dichiarazione della separazione personale dei coniugi. In secondo grado viene anche riconosciuto, contrariamente a quanto avvenuto deciso in primo grado, l’addebito alla donna della separazione coniugale. Respinta, invece, la pretesa risarcitoria avanzata dall’uomo per un presunto danno morale. Su questo fronte i Giudici d’appello sostengono che «il marito non ha provato il danno ingiusto e il nesso causale con una condotta illecita della moglie, non riscontrabile nella sola infedeltà coniugale», e aggiungono poi che «la dedotta depressione di cui soffriva l’uomo» è «riferibile alla separazione in sé piuttosto che al tradimento».

Con il ricorso in Cassazione l’ex marito prova a dare solidità alla sua posizione, ribadendo «la domanda di risarcimento del danno da illecito endofamiliare», frutto, a suo dire, della «violazione dei doveri coniugali da parte della moglie», violazione a cui egli riconnette anche lo stato depressivo sopportato «dopo l’allontanamento della moglie dalla casa familiare».

Anche per i Giudici del ‘Palazzaccio’, però, va respinta la pretesa avanzata dal ricorrente. Fatale il non avere fornito prove certe sulle ripercussioni negative da lui subite a seguito del tradimento compiuto ai suoi danni dalla moglie.

Decisivo il richiamo al principio di diritto secondo cui «la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali, senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a ciò preclusiva». A patto, però, che «la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all’onore o alla dignità personale».

 

Fonte: Diritto e Giustizia